UN’IMPRESA DIFFICILE di Hanoch Levine (2012) regia di Emanuela Pistone
Ci si trova di fronte ad una pièce che vede in scena una buffa coppia di cinquantenni (Yona e Levinah Popokh, rispettivamente Serio e Pistone) ormai stanchi della loro pluriennale relazione: una vita divenuta ripetitiva e banale, senza sorprese, senza possibilità che qualcosa accada davvero a rompere la monotonia dei giorni che passano privi di senso e fervore. Litigano stancamente eppure non riescono a lasciarsi: lui soprattutto, goffo nel suo desideri odi vita, di donne e di nuove avventure, ha paura di morire e non riesce ad andarsene, ma anche lei è profondamente impaurita e, seppur spazientita, non riesce a farlo andar via, fino a quando, del tutto casualmente, un estraneo (Foti) non s’infila in quel ménage, fino a quando insomma Gounkel, strano e spiritato vicino di casa, spinto da un forte mal di testa non interrompe una delle loro solite, scontate, velenose, litigate notturne: è l’estraneo che viene a dirti chi sei davvero, che ti mostra come ti sei ridotto, il perturbante che apre la porta e permette di avvertire con precisione il baratro di banalità che occupa la vita di uomini e donne, la sciupa, la scuote, la ingrigisce, ma non riesce a coprirne la dimensione essenziale d’avventura che val la pena di affrontare. Lo spettacolo è gradevole e, con buona varietà d’accenti e toni (dal grottesco al comico, dall’affettuoso al corrosivo, dal sornione al caricaturale), legge con intelligenza un testo che merita d’esser conosciuto.
Teatro