Non sono andato ai funerali di Mattia Torre

Non sono andato ai funerali di Mattia Torre.
Avrei voluto, ma non sono andato.
Volevo rendergli omaggio, volevo salutarlo, fargli sentire che probabilmente eravamo affini; mi ritrovavo nel suo mondo e nel suo modo, mi piaceva la sua amara ironia, avrei voluto fare miei alcuni suoi pezzi, mi ci sentivo a casa, ma non sono andato.

Penso che il suo funerale sia stato quanto di più vicino a quello che vorrei fosse il mio, tra sette o otto decine d’anni.
Con racconti di “aneddoti talmente emozionanti che chi li ha scritti non riesce a leggerli, e scoppia a piangere perché il dolore è troppo forte; oppure anche divertenti”, come scriveva in un suo monologo, ma non sono andato.
In realtà il mio lo vorrei un po’ più allegro. Non potrà mai essere una festa, ma vorrei che fosse quanto di più vicino ad essa, compatibilmente con le circostanze. E col fatto che io non potrei fare gli onori di casa.
Ma non vorrei fosse “devastante anche fisicamente”, da “uscire col mal di testa e la voglia di vomitare”, sempre parole sue.

So che avrei anche incontrato un sacco di amici e di colleghi, ma non sono andato.
E non solo perché non mi sarei riconosciuto in titoli tipo “Folla di vip all’ultimo saluto”, ma perché non lo conoscevo.
Avevo meno di un grado di separazione da lui, vista la quantità di amici in comune, ma non era capitato.
Non ero un suo amico.
Per cui mi sarei sentito fuori luogo, un imbucato a un funerale.
E poi lo aveva scritto lui: “Solo amici commossi che magari raccontino qualcosa sul defunto, qualcosa di intimo, di toccante”.
E così non sono andato.

Scrivi già del tuo ritorno, Mattia, come avevi scritto            della tua dipartita.
Ti aspettiamo.
E stavolta diventeremo amici.